Il Silenzio dei Giovani: Un Grido di Aiuto?

In molti casi, quando i giovani si chiudono in sé stessi, non si tratta di rifiuto o disinteresse, ma di un tentativo naturale di separarsi per crescere e scoprire chi sono. Il bisogno di indipendenza, le forti emozioni dell’adolescenza, e la difficoltà di comunicare possono portare alla solitudine, come dimostrano le storie di Anna e Marco. Tuttavia, questi momenti di chiusura non vanno ignorati, ma compresi. Ascoltare senza giudicare, senza fretta di “correggere”, può aiutare i giovani a sentirsi compresi e supportati nel loro cammino verso la crescita. La chiave è l’ascolto empatico e paziente, per aiutarli a superare le sfide di questa fase della vita.

Scopri le ragioni nascoste – Gli esempi di Anna e Marco

Come psicologa clinica, ogni giorno mi trovo ad ascoltare storie simili a quella di Anna e Marco, due adolescenti che sembrano vivere “in un altro mondo!”. Stanno attraversando un periodo delicato della loro vita, proprio come molti altri giovani che conosco. Si chiudono, si isolano, sembrano sempre più lontani dalla famiglia e dagli amici. Ma cosa succede davvero dietro questo comportamento?

Il desiderio di ritirarsi, di vivere nel proprio angolo, di allontanarsi dalle relazioni e dalle aspettative degli altri, è un fenomeno in crescita, e il più delle volte è fonte di grande preoccupazione per i genitori e le persone care. Non è un comportamento che va ignorato, ma nemmeno un segnale da leggere solo come una “fase” difficile. La chiusura in sé stessi è un messaggio da ascoltare, capire e accompagnare, soprattutto se si tratta di giovani che stanno cercando di trovare il proprio posto nel mondo. Ma perché accade? E cosa possiamo fare per aiutarli?

In questo articolo voglio cercare di esplorare le ragioni nascoste dietro la ritrosia adolescenziale. Mi auguro che questo spazio possa essere di aiuto, non solo per chi è giovane e si sente in difficoltà, ma anche per chi è un genitore, un educatore, o una persona vicina a chi attraversa questo periodo di vita. Mi piacerebbe dare un supporto concreto a chiunque si trovi in difficoltà rispetto ad un tema simile, e aiutare a trovare delle soluzioni pratiche invece di focalizzarti solo ed esclusivamente sulla “problematicità” della situazione.

Anna e Marco: Storie di solitudine

Anna, è una ragazza di 15 anni. Un tempo era molto socievole, piena di energia, amava partecipare a tutti gli eventi scolastici, adesso sembra preferire passare il tempo a casa, immersa nel suo mondo digitale. Le sue amiche iniziano a chiedersi cosa stia succedendo. I suoi genitori si preoccupano per il suo continuo isolamento.

Marco, invece, ha 16 anni. Prima rideva, correva in giro, passava ore con gli amici e con la famiglia. Ma negli ultimi mesi, la situazione è cambiata. Adesso sembra sempre più introverso. Quando i genitori gli chiedono come è andata la giornata, lui risponde con monosillabi. Passa sempre più tempo nella sua stanza, con la porta chiusa, a parlare poco con chiunque.

 

Le storie di Anna e Marco sono piene di emozioni complesse, ma sono storie che si ripetono ogni giorno. Se sei un genitore che sta vivendo un’esperienza simile, voglio dirti che non sei solo. Questi momenti di distanza e solitudine fanno parte di un processo di crescita e di cambiamento che tutti attraversiamo, sicuramente ti ricordi anche tu cosa si prova!

La ricerca dell’indipendenza: un bisogno naturale

Durante l’adolescenza, il ragazzo o la ragazza cominciano a sentire una forte necessità di indipendenza. Questo non significa che vogliano allontanarsi dalle persone che amano o fare una “ribellione” contro di loro. Piuttosto, è un desiderio naturale di voler crescere, di fare da soli, di trovare il proprio posto nel mondo.

Questo bisogno di indipendenza è profondamente legato al cambiamento interiore. Si inizia a prendere consapevolezza di sé, dei propri desideri, dei propri limiti. E spesso, per fare chiarezza in questa fase sentono la necessità di allontanarsi un po’ dal mondo esterno. Marco potrebbe sembrare distante e indifferente, ma in realtà sta solo cercando di scoprire chi è davvero e cosa vuole. Anna, d’altro canto, sta forse mettendo in atto un modo tutto suo per rielaborare emozioni che fatica a comprendere, senza avere l’impressione di dover fare qualcosa che gli altri si aspettano da lei.

È il primo aspetto da comprendere: il ritiro è un modo di proteggersi, di mettersi in salvo da un mondo che sembra troppo invadente. E non sempre è facile trovare il modo giusto per parlare di questo bisogno di distanza. Se sei un genitore, potresti sentirti frustrato, come se tuo figlio o tua figlia ti stesse rifiutando. Ma è importante ricordare che non è così. La chiusura in sé stessi, in molti casi, è un segnale di ricerca di sé: un passo necessario verso la crescita.

I cambiamenti ormonali e l’intensità emotiva

Uno degli aspetti che spesso viene sottovalutato quando parliamo di adolescenza è l’impatto dei cambiamenti ormonali: il corpo e la mente vivono trasformazioni che possono generare grande confusione. Le emozioni si fanno più intense, la percezione del mondo cambia, e a volte è difficile anche per i giovani stessi comprendere cosa stiano provando.

Anna, ad esempio, potrebbe sentirsi sopraffatta dalle nuove sensazioni e difficoltà nel gestire le emozioni forti che prova. Marco potrebbe sentirsi insicuro, incapace di gestire la sua rabbia o frustrazione. Questi cambiamenti, quindi, non sono solo fisici, ma anche psicologici, e la ritrosia può essere la risposta di chi cerca di mantenere il controllo, evitando di dover affrontare tutto in modo troppo diretto.

Ai giovani in questa situazione bisognerebbe riuscire a far capire che le emozioni intense sono normali in questo periodo. Non c’è nulla di sbagliato in nessuno, anche se a volte sembra che il mondo ci stia mettendo alla prova in modi difficili da gestire.

La paura di non essere compresi

Un altro aspetto che gioca un ruolo fondamentale nella ritrosia dei giovani è la paura di non essere compresi. La comunicazione tra giovani e adulti può essere complicata, spesso non per mancanza di amore o di interesse, ma per la difficoltà di esprimere emozioni complesse. Un ragazzo potrebbe non riuscire a trovare le parole giuste per dire cosa sta vivendo, o potrebbe temere che, se lo fa, verrà frainteso, o giudicato.

Questo è particolarmente vero per chi ha bisogno di più tempo per capire “chi è”. Il ritiro non è sempre un gesto di rifiuto, ma una necessità di riflettere, di confrontarsi con il mondo interiore senza la pressione di dover essere sempre all’altezza delle aspettative degli altri.

L’importanza della comunicazione e dell’ascolto empatico

Se sei un genitore, voglio darti un consiglio: non temere di avvicinarti ai tuoi figli, ma fallo con pazienza e con una mente aperta. Spesso, i giovani non vogliono essere “ripresi” o “consigliati” in modo troppo diretto, ma hanno solo bisogno di qualcuno che li ascolti davvero. Chiedi come si sentono, senza giudicare, senza fare domande dirette che potrebbero farli sentire sotto interrogatorio.

Immagina che tuo figlio di 16 anni sia spesso chiuso in camera sua, senza interagire con la famiglia come faceva prima. Sicuramente sarai molto preoccupato e senti il bisogno di “correggere” subito il comportamento di tuo figlio, magari dicendo qualcosa come: “Perché stai sempre chiuso in camera? Non va bene che tu non venga mai giù con noi!”.

Tuttavia, questo tipo di intervento potrebbe far sentire il ragazzo sotto accusa e spingerlo ancora di più nell’isolamento. Un approccio empatico e non giudicante, invece, potrebbe essere: “Ho notato che negli ultimi giorni stai passando molto tempo nella tua stanza. Come ti senti? Se hai voglia di parlare, sono qui per ascoltarti.”

In questo caso, la mossa vincente è quella di non fare domande invadenti né esprimere giudizi sul comportamento di tuo figlio. Questo tipo di dialogo mostra apertura, disponibilità ad ascoltare e un atteggiamento di comprensione. L’obiettivo non è “riprendere” o imporre una soluzione, ma permettere a tuo figlio di sentirsi accolto senza pressioni, aumentando così la possibilità che lui si apra e condivida i propri pensieri ed emozioni.

Questo esempio illustra come l’ascolto empatico si basi sull’osservazione e sull’approccio rispettoso, evitando di imporre soluzioni o giudizi affrettati.

L’ascolto empatico è fondamentale. Significa accogliere quello che il giovane sta vivendo senza imporre il tuo punto di vista. Solo così puoi creare un legame di fiducia che gli permette di aprirsi.

Concludendo: comprendere per crescere insieme

Sembrerà ovvio, ma voglio dirti che non sei solo! Ogni emozione, ogni pensiero che stai vivendo, è una parte del percorso verso la crescita. Che tu sia un genitore, un educatore o qualcuno che si occupa di un adolescente in difficoltà, spero che tu possa vedere questi comportamenti come segnali di un bisogno profondo di comprensione e sostegno e non solo come un “fastidioso problema”.

Essere lì per i giovani, senza giudizio, senza fretta, ma con pazienza e amore, è il modo migliore per accompagnarli verso una nuova crescita. La chiusura non è un muro da abbattere, ma una porta da aprire, piano piano, per entrare nel loro mondo interiore e aiutarli a fare luce su ciò che realmente stanno cercando.

Se hai bisogno di un aiuto concreto o di un supporto per comprendere meglio i giovani a te vicini, non esitare a cercare supporto psicologico. L’ascolto, il dialogo e la comprensione sono le chiavi per aprire le porte della relazione e superare insieme questi momenti delicati.

 

Dott.ssa Claudia Passanante

“per fondazione Anna e Marco” https://annaemarco.it/