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Una terza via nel passaggio generazionale

Una esperienza da imprenditore 

Il passaggio generazionale è sempre un momento delicato nella storia delle imprese.

Ecco la mia modesta esperienza da imprenditore: d’accordo con la mia famiglia, ho deciso di cedere la maggioranza delle quote delle mie aziende a una fondazione.

Quale? La scelta è emotiva e personale – ed è anche possibile crearne una dedicata a qualcosa che ci sta a cuore.

Ma sul perché ci sono molti, razionalissimi aspetti positivi da valutare.  

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Angelo Lazzari e sua figlia Viola dal notaio, per la firma di cessione quote alla Fondazione Anna e Marco – ETS

Questioni di testa

Il passaggio generazionale è questione delicata soprattutto per le PMI medio-piccole, dove manca spesso la governance, o meglio (e per fortuna) essa coincide con quella dell’imprenditore.

I dati sono davvero enormi. Una recente analisi dell’ISTAT dice che: 

  • oltre tre quarti delle 780.000 imprese con almeno 3 dipendenti
  • e il 50% delle 24.000 imprese con un fatturato dai 10 ml ai 50 ML 

in Italia sono controllate da una persona fisica, il fondatore.

Per carità: bellissimo. Ma poi accade che, ogni anno, venendo a mancare il fondatore, il 2% di queste aziende debba affrontare, volente o nolente, il passaggio generazionale – per non dire la messa in discussione della continuità aziendale stessa.

Il 2% sembra poco? Significa ben 12.000 imprese all’anno!

Significa anche che il meglio dell’economia italiana, la colonna portante di tutto il nostro sistema economico, se non ben gestito può mettere in crisi intere filiere di settore (se non farle scomparire).

Non è un allarme a vanvera: abbiamo visto tante di queste storie, purtroppo.

Questioni di cuore

Spesso leggo critiche nei confronti degli imprenditori a proposito del loro non pensare alla successione, e onestamente non penso sia corretto. Infatti il non farlo con atti formali non significa non pensarci: l’azienda è la loro vita, l’imprenditore è il genitore della sua impresa e, come per tutti i padri e le madri, la sua creatura è sempre nei suoi pensieri.

È che spesso (anzi, quasi sempre) i fondatori si possono sostituire ma non si possono replicare: sono unici.

E come dargli torto! Infatti si può essere ben previdenti, ma poi la nuova figura scelta (sia all’interno della famiglia o attraverso manager esterni), secondo i dati:

  • nel 56% dei casi è dimostrata inadeguata alla gestione dell’impresa, dopo 2 anni; 
  • in 1 caso su 3 c’è un calo di fatturato; 
  • nel 9% dei casi si arriva addirittura di chiusura della attività.

Poi c’è la questione degli eredi: alcuni imprenditori non li hanno, e quindi la successione diventa cessione – o comunque una decisione spesso problematica.

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Ma è anche vero che in molti casi gli eredi ci sono: solo che non hanno alcun interesse verso l’attività imprenditoriale (e non finisce mai bene imporre il passaggio obtorto collo…).

Invece di addossare loro questo peso gravoso, perché non provare a trovare una soluzione per lasciarli liberi di realizzarsi come credono, garantendogli quella tranquillità economica per cui tanto abbiamo lavorato?

Una proposta concreta

Perché non considerare un passaggio fuori dagli schemi? 

La riflessione che propongo è cedere la propria azienda (o le proprie aziende) totalmente o parzialmente a una non-profit, a un ente del terzo settore, a una fondazione senza scopo di lucro: insomma rendendola una “impresa sociale”.

In questo modo l’impresa continuerà a vivere e produrre ma con uno scopo sociale-spirituale deciso dallo stesso fondatore; e beneficiando degli utili, che saranno destinati per gli scopi umanitari indicati.

È questo ciò che ho fatto, nel mio piccolo, con la Fondazione Anna e Marco, che ho creato per dare rifugio agli adolescenti scappati di casa e che sta prendendo velocemente forma anche grazie ad altri imprenditori (tra l’altro è già stata riconosciuta come Ente del Terzo Settore).

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Cosa succede? In questo modo: 

  1. c’è la netta separazione tra la proprietà (l’ETS) e la gestione dell’impresa;
  2. gli utili futuri, che si spera siano sempre più e che possano continuate per molti anni, sono destinati alle attività sociali indicate dal fondatore. 

In sintesi di tratta di pensare a “un’altra” successione, in cui non sia una azienda profit che istituisce una fondazione non-profit, ma in cui è la non-profit a divenire proprietaria.

Un invito: parliamone!

Quello che vorrei trasferire è che la successione può essere altruista e fertile, un nuovo e continuativo processo generativo per l’impresa e soprattutto per i beneficiari degli utili della stessa.

Noi siamo giudicati non tanto per cosa abbiamo fatto, ma soprattutto per come lo avremo lasciato alle generazioni future.

Tutte le cose finiscono, facciamo in modo che siano l’inizio di generazione di altre!

Facciamo che il futuro sia il nostro lascito più importante! 

(Se vuoi scrivermi: angelo@annaemarco.it)

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